La disfagia nel paziente anziano

La disfagia rappresenta un disturbo frequente, che interessa molti anziani non autosufficienti a causa delle numerosissime patologie che la possono determinare: cause iatrogene indotte da trattamenti, cause infettive, cause metaboliche, cause miopatiche, cause neurologiche, tra cui lo stroke, sclerosi multipla, SLA, morbo di Parkinson, demenze e cause strutturali.

La presenza inoltre di numerose situazioni proprie dell’età geriatrica, indicate complessivamente con il termine di presbifagia, rende tale popolazione ancora più a rischio di disfagia, comportando ricadute importanti di ordine epidemiologico. Nel merito, ricordiamo che la capacità diagnostica tempestiva è fondamentale, visto che spesso nell’anziano i problemi di deglutizione si manifestano anche in maniera subdola.

È quindi necessario in generale programmare risposte assistenziali adeguate di tipo multi professionale e multidisciplinare, al fine di evitare complicazioni molto gravi, quali soffocamenti, polmoniti ab ingestis, infiammazioni polmonari, malnutrizione, disidratazione, che vanno a sommarsi ad uno stato di salute già fragile e precario. Ricordiamo che ogni anno circa 10000 anziani muoiono per soffocamento da cibo e complicanze respiratorie.

La disfagia rappresenta, come evidenziato da dati epidemiologici già noti in letteratura, un disturbo molto frequente, che interessa circa il 20% degli anziani ospedalizzati e il 60% degli anziani istituzionalizzati. Per questi ultimi, il rischio di manifestarsi, nel corso del tempo, interessa praticamente la totalità degli ospiti all’interno delle Residenze Protette e delle RSA, essenzialmente in ragione dello stretto rapporto esistente tra ospiti anziani non autosufficienti con demenza (che tra l’altro è la maggior causa di istituzionalizzazione) e la susseguente disabilità nelle ADL (attività della vita quotidiana) e disfagia.

È fondamentale, quando si parla di anziani e nutrizione, fare riferimento alla presbifagia: la deglutizione nella persona anziana sana va incontro ad una naturale involuzione, che può essere definita presbifagia primaria, mentre con il termine di presbifagia secondaria o disfagia, vengono indicate le alterazioni della deglutizione che rendono difficoltoso o impossibile il transito dei liquidi o del cibo dalla bocca all’esofago, che si verificano nell’anziano in seguito ad eventi patologici più frequenti in tali epoche di vita (es. ictus, morbo di Parkinson, demenza, cc.) oppure come effetto collaterale di alcuni farmaci.

In particolare tra il 40% e il 60% degli anziani residenti in case di cura o strutture assistite, si riscontra una certa difficoltà nella deglutizione dovuta ad un indebolimento dei muscoli preposti alla masticazione e alla deglutizione, alla perdita di denti e alla ridotta produzione di saliva.

Quali sono i campanelli d’allarme di una possibile presbifagia?

  • Se si osservano:
    – fuoriuscita di cibo dalle labbra
    – tosse dopo l’assunzione del cibo
    – voce rauca o velata o gorgogliante dopo la deglutizione
    – tendenza a tenere cibo o liquido in bocca per troppo tempo
  • Se l’anziano adotta le seguenti strategie:
    – preferisce cibi che non richiedono una masticazione prolungata
    – necessita di tempi lunghi per alimentarsi
    – necessita di schiarirsi continuamente la voce

Se si considera che l’ingresso di un anziano in una Casa di Riposo è uno degli eventi più delicati e difficili dell’intera vita e ha pesanti ripercussioni sull’equilibrio della persona, intervenendo a modificare completamente tutte le principali coordinate di spazio e tempo e di abitudini a cui ciascuno fa riferimento nella quotidianità, si può comprendere come l’istituzionalizzazione spesso  comporti per la persona un incremento delle “perdite fisiologiche” legate al processo di invecchiamento, innescando una serie di reazioni a catena in senso peggiorativo.

Tra queste è da annoverarsi una riduzione nella volontà di alimentarsi, una perdita del piacere del cibo, una riduzione dei gusti e dei sapori e del senso di fame: parametri tutti che rafforzano il rischio di una patologia disfagica latente.

Resta poi da considerare il fatto che per molte persone anziane il momento del pasto è centrale nelle attività sociali e relazionali e che quindi i disturbi della deglutizione possono avere effetti negativi sulla qualità della vita e non solo sullo stato di salute e quello nutrizionale. È infatti sempre più chiara la relazione tra disfagia e riduzione di attività psicologiche e sociali e il conseguente peggioramento della qualità della vita, come espressione di riduzione di autostima e sicurezza.

Si consideri inoltre che il ricordo del sapore di uno specifico alimento permane per moltissimo tempo nella corteccia cerebrale: pertanto, nel caso in cui il meccanismo mnemonico venga associato ad una sensazione familiare e gradevole, la nuova somministrazione di cibo permetterà di risvegliare il ricordo che è stato immagazzinato, amplificando così l’effetto positivo.

Oltre alla diagnosi precoce, effettuata come dicevamo con approccio multidisciplinare, è quindi essenziale, al fine di permettere il miglioramento della qualità della vita dell’ospite, intervenire con soluzioni che aiutino il paziente ad alimentarsi in modo ottimale, invogliandolo a nutrirsi ed evitando l’uso, per quanto possibile, di integratori, spesso vissuto dal paziente come terapia necessaria, piuttosto che come una naturale e tradizionale alimentazione.