Disfagia e alimentazione. Il cibo come nutrimento, il cibo come piacere

 

 “Al diavolo! – l’esser vecchia è già di per sé una grandissima ‘rottura’. Figurarsi poi se si prendono troppo sul serio tutti gli inconvenienti che a tale stato ineriscono e troppo seriamente se ne parla”. Mila Spini

Questo l’incipit al capitolo “Disfagia e alimentazione: il cibo come nutrimento, il cibo come piacere”, di Silvano Di Geronimo, direttore della Residenza Sanitaria Assistenziale Il Giglio di Firenze, e di Melissa Mariotti, logopedista, tratto dal libro “A cena in RSA: nutrizione, gusto, cultura” della Maggioli Editore (a cura di Irene Bruno, Alessandro Meluzzi, Vincenzo Pedone, con Prefazione di Umberto Veronesi.

Abbiamo posto a Silvano Di Geronimo alcune domande.

Ci vuole raccontare la sua esperienza presso la Residenza sanitaria assistenziale “Il Giglio”? Come far ritrovare il piacere del cibo al soggetto affetto da disfagia?

Ci siamo avvicinati a queste questioni per dare la possibilità agli ospiti di ricominciare ad alimentarsi con piacere. Abbiamo innanzitutto cercato di capire quali potevano essere gli elementi che stimolavano gli ospiti rispetto al cibo. Abbiamo scoperto che il primo punto sono i sapori e in particolar modo cercare di ricreare sapori conosciuti, vicini agli alimenti della loro vita, creando dei menù vicini anche alle regioni di provenienza. Un altro elemento sono i colori: all’inizio nella struttura avevamo i frullati, con un colore marrone che non inspira appetito. Abbiamo quindi deciso di iniziare una sperimentazione, con una parte di formazione attiva con la dottoressa Mariotti, che ha seguito i pazienti anche durante il pasto. Abbiamo quindi capito da che cosa gli ospiti erano attirati maggiormente: come ad esempio i dolci e un menù ampio.

Quanto è durata la sperimentazione?

La sperimentazione è durata 3-4 mesi: la dottoressa Mariotti andava nelle sale e vedeva gli operatori lavorare con i pazienti, correggendoli laddove l’intervento poteva essere migliorato; a questo seguiva un incontro in aula. L’obiettivo del logopedista era quindi quello di valutare le possibilità di miglioramento del servizio rispetto alle esigenze dei pazienti.

Dopo la sperimentazione, le metodologie sono state poi approvate?

Sì, dopo la fase di sperimentazione le nuove metodologie sono state accettate e implementate nella Residenza. Sono state in seguito ulteriormente migliorate per quanto riguarda la qualità del cibo, i sapori e la partecipazione dell’utente.

Come si è svolta la collaborazione con “io sano”?

È stata l’azienda che si è presentata con nuove proposte. Di loro mi ha colpito la ricerca continua e la visione sociale del loro ruolo. Il menù è molto vasto: va dalle vellutate di verdure alla cotoletta alla milanese, dai purè alla torta di riso. Gli ospiti riescono a recuperare dei sapori che prima, con i frullati, non potevano avere. Grazie all’ampia gamma di ricette, possiamo anche personalizzare ulteriormente i menù, ad esempio in base al fabbisogno giornaliero.

Il suo capitolo nel libro tratta della figura del logopedista attribuendogli un ruolo centrale.

Il logopedista, in strutture come le RSA, dovrebbe essere una figura professionale fissa, che potrebbe aiutare molto a migliorare la qualità della vita dell’utente. Purtroppo ad oggi spesso non è presente e viene chiamato solo in caso di bisogno specifico dell’individuo, perché a livello normativo questa funzione a non è prevista.

Nella seconda parte si parla di nuove chiavi di lettura per affrontare la disfagia. Nell’approccio con il paziente quali sono i punti principali?

Rispetto all’approccio con l’utente ci sono tre aspetti principali:

  • personalizzazione del menù: occorre cercare di andare, per quanto possibile, incontro ai suoi gusti, con la definizione di un menù più personalizzato possibile.
  • importanza del pasto: l’approccio è da pari – l’operatore si deve sedere con lui, accanto a lui, cercando di dare risalto anche all’importanza sociale del pasto
  • accoglienza dell’operatore: l’utente si deve sentire accolto in un momento, per lui, di difficoltà.

Quello che fate ha quindi un obiettivo generale legato al benessere dell’ospite.

L’obiettivo e il principio che lega tutto è di ricreare l’aspetto familiare di casa all’interno di un ambiente che ha un aspetto sanitario molto marcato. Lo facciamo anche con attività culturali e di animazione che sono più vicine ai cittadini. Prima nelle case di riposo si giocava a carte e a tombola e basta. Stiamo cercando di portare più servizi all’interno, in modo che sia più ampia la scelta, oltre che del cibo, anche delle attività. Il nostro scopo e il nostro sforzo sono mirati a scostarci dal mero concetto di sopravvivenza: vogliamo dare alle persone la possibilità di crescere come essere umano, anche dentro a un contesto come questo.

(intervista a cura di Veronica Caciagli)